Ricordo di Arnaldo Di Benedetto

Enrico Mattioda

Ricordo di Arnaldo Di Benedetto

Arnaldo Di Benedetto ci ha lasciati il 16 settembre 2021. Era nato a Malles Venosta il 19 settembre 1940. Lasciò l’Alto Adige per studiare all’Università di Milano, dove si laureò sotto la guida di Mario Fubini, ma in verità non abbandonò mai la regione d’origine e ogni anno tornava a Glorenza per collaborare attivamente alla cultura locale. A Milano ebbe la possibilità di frequentare l’ultima bohème che si raccoglieva al bar Jamaica di via Brera o al Blu Bar di piazza Meda: a quelle frequentazioni è legata una produzione giovanile di racconti e di poesie (una scelta delle quali fu pubblicata da Sergio Solmi sull’Almanacco dello Specchio). Intanto, Mario Fubini lo aveva indirizzato allo studio di Tasso: quegli studi sfociarono poi nel volume Tasso, minori e minimi a Ferrara (Pisa 1970; poi aggiornato col titolo Con e intorno a Torquato Tasso, Napoli 1996). Dal 1967 al 1969 fu borsista presso la Scuola Normale Superiore di Pisa: a quel periodo si deve l’inizio di un lavorìo critico e filologico su Alfieri che sfociò poi nel 1977 nell’edizione del volume delle Opere di Alfieri all’interno della collana «La letteratura italiana. Storia e testi» dell’editore Ricciardi. Questi due autori, Tasso e Alfieri, sono stati oggetto di una lunga fedeltà da parte sua e anche di un impegno organizzativo per favorirne lo studio: Arnaldo fu dal 1989 al 1999 presidente del “Centro Nazionale di Studi Alfieriani” di Asti e per molti anni è stato membro del consiglio scientifico del “Centro di studi tassiani” di Bergamo.

La sua attività critica si è però rivolta ad autori di epoche diverse: da Dante al petrarchismo lirico, alla letteratura rinascimentale del comportamento, al Settecento europeo, al Romanticismo, a Nievo e alla letteratura campagnola, fino ad arrivare ai moderni, magari frequentati personalmente (nel suo andare a Milano – così amava ricordare - Ezra Pound lo incaricò di portare i suoi saluti a Montale). I suoi scritti mostrano un’apertura europea ispirata alla grande cultura borghese prodotta tra Otto e Novecento (quella che Niklas Luhmann definiva la cultura “Alte Europa”). Dal 1969 al 2010 ha insegnato letteratura italiana presso l’Università di Torino, prima come professore incaricato e poi come professore ordinario. Fino al 2020 è stato condirettore del “Giornale storico della letteratura italiana”. Durante la sua carriera ha insegnato in prestigiose università straniere, è stato socio di varie accademie e istituzioni di cultura, ha ricevuto importanti premi e una laurea honoris causa dall’università di Atene. Nonostante ciò, preferiva evitare dimostrazioni di compiacimento accademico: ben prima di andare in pensione “minacciò” chi collaborava con lui dal guardarsi di organizzare una miscellanea in suo onore; e anche alla richiesta di pubblicare la bibliografia dei suoi scritti oppose sempre un cortese ma fermo rifiuto. Lo sosteneva la convinzione che uno studioso debba essere giudicato dalla validità e dalla durata dei suoi scritti. Nel chiudere un ricordo di Emilio Bigi aveva sentenziato: «La sua opera è di quelle che reggono nel tempo». Credo che questo fosse anche l’elogio più alto che desiderava per sé stesso.

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